martedì 4 settembre 2018

Quando conviene rileggere un romanzo?


Siamo già al quinto giorno in compagnia di Tolkien ed i suoi simpatici Hobbit: per chi non avesse visto il post precedente, sto leggendo “Il Signore Degli Anelli”. Vi avevo promesso di parlare del dilemma che ho affrontato nel momento in cui ho scelto di rileggere un libro già letto in passato, quindi eccomi qua.
Fino a poco tempo fa, infatti, era per me impensabile riprendere in mano un romanzo di cui conoscevo già la trama. Avevo paura di annoiarmi a morte, ma il problema reale era la consapevolezza che sarei andato fino in fondo a quella noia, non esiste al mondo che io lasci una lettura a metà!
Ho superato questo blocco grazie ad un ragionamento che nulla aveva a che fare con i libri: un giorno, durante il tramonto della mia adolescenza, mi sono reso conto di come le mie idee fossero cambiate con gli anni, ero arrivato addirittura a ribaltare completamente il mio giudizio riguardo alcuni argomenti. Nonostante la mia inesperienza nella vita come nella lettura, ero ben cosciente di come i romanzi non fossero soltanto meravigliose storie per passare il tempo, spesso mi ero lasciato andare a considerazioni sulla morale e gli ideali dello scrittore, cercando indizi nei suoi libri. Unendo semplicemente queste due considerazioni, è stato immediato concludere che un libro, letto a qualche anno di distanza dalla prima volta, potesse assumere un significato totalmente differente.
Ho iniziato, per sicurezza, con un libro che adoravo: “Eragon” di Paolini, correndo il rischio di rovinarmi un ricordo. Fortunatamente la mia teoria ha trovato conferma e sono riuscito a penetrare molto più a fondo nel romanzo di quanto non avessi fatto la prima volta.
Nonostante questo passo avanti, raramente mi trovo a rileggere libri, per un semplice fatto: i libri che non ho ancora letto sono molti di più di quelli che ho già letto.
Questa volta, però, è stata una decisione particolarmente difficile, soprattutto a causa del mio rapporto complicato con il libro in questione. Io, grande appassionato di fantasy, per anni mi sono sentito ripetere sempre la solita frase da altri lettori: “Ma come? ami il fantasy e non hai mai letto Il Signore Degli Anelli”? quello è il Re dei fantasy!”. Alla fine l’ho letto, un po’ per curiosità, un po’ per farli smettere. Ho deciso di fare le cose in grande, sono partito dal Silmarillion e, prima di arrivare alla trilogia del Signore Degli Anelli, sono passato attraverso diversi romanzi, tra cui “Lo Hobbit”, così da immergermi al meglio nel mondo di Tolkien.
Questo lungo lavoro di avvicinamento, però, non ha pagato, anzi, se possibile mi ha rovinato il gusto della lettura finale. Pagine e pagine di “introduzione” in cui ho letto di dei, elfi, draghi ed eroi leggendari, per poi trovarmi come eroi dei romanzi più famosi degli Hobbit?? Piccole creature festose, il cui maggior talento è quello di godersi una buona cena?? il mio cuore non riusciva a tollerarlo, io volevo la grandiosità, l’opulenza, luccicanti armature d’argento, spade affilate, belve leggendarie!!!
Sia chiaro, sono andato fino in fondo! Il mio lato razionale ha dovuto riconoscere l’eccezionalità del lavoro di Tolkien: costruire un universo da zero, creare un mondo tutto suo nel quale poi collocare le sue storie, inserirvi popoli, lingue, un’interminabile lista di personaggi unici ed interessanti, l’atmosfera leggendaria. E poi, parliamoci chiaro, l’epicità è ben presente anche nel Signore Degli Anelli, inutile negarlo. Eppure la mia parte più passionale non è mai riuscita ad accettare che la parte da protagonista sia stata assegnata ad uno Hobbit, potrei tranquillamente affermare di essere GELOSO.
Malgrado il sentimento di gelosia che non si placa, devo dire che rileggere questo romando si sta rivelando, almeno per ora, una scelta vincente. Sto assaporando con più attenzione ogni dettaglio: i dialoghi, le descrizioni, le caratteristiche di ogni personaggio, l’odore di ogni luogo.
Certo, se avessi avuto nuovi libri da leggere probabilmente avrei scelto quelli, ma, non avendoli, credo di poter affermare di aver rimediato egregiamente.

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