Quando si legge un romanzo lungo come Il Signore Degli Anelli, è inevitabile perdersi nei dettagli e concentrarsi su piccoli frammenti del racconto come se fossero una cosa a sé stante.
Mi duole farlo, ma credo che un approfondimento sia dovuto, e consiglio a chi ancora non abbia ancora avuto l'occasione di leggerlo, di evitare questo post per non incorrere in spoiler.
Oggi, infatti, leggendo le mie pagine quotidiane, mi sono soffermato sul linguaggio, partendo da quello di Samvise Gamgee, il fedele accompagnatore di Frodo.
Tutta la narrazione si svolge attraverso uno stile particolare, che di fatto aiuta in maniera notevole ad immergersi nell'atmosfera epica del romanzo.
Non sono rari i termini inusitati ("allordunque" per esempio) ed anche le frasi vengono spesso costruite in modo insolito e ricercato ("infine" utilizzato in fondo alla frase anziché all'inizio).
Nel linguaggio già di per sé inconfondibile, quello di Sam, Hobbit giardiniere di umili origini, rappresenta un'ulteriore variazione.
Spesso infatti, questo fedele compagno del protagonista, conclude le sue affermazioni con espressioni come "se capite ciò che voglio dire" oppure "non so se mi spiego".
Dietro a queste parole, che potrebbero indicare l'insicurezza del personaggio in questione, si cela in realtà, o almeno così mi pare, un messaggio importante.
Sam, pur concludendo le sue frasi in questo modo, si esprime in maniera molto chiara e a volte persino elegante. Per come la vedo io, Tolkien, potrebbe aver voluto evidenziare volutamente l'intelligenza che si cela dietro la maschera di umiltà indossata da Sam. Questo messaggio contro la discriminazione non sarebbe l'unico nascosto dallo scrittore tra le righe dei suoi romanzi, basti pensare all'astio tra elfi e nani, che viene però "sconfitto" dalla grande amicizia nata tra Gimli e Legolas.
Sono un semplice universitario di 22 anni, al quale gli studi scientifici non hanno saputo togliere la passione per la letteratura e credo di aver trovato il posto giusto per condividerla. L’idea è quella di parlare delle mie “7 pagine”, la mia dose minima di lettura giornaliera, descrivendo le sensazioni evocate da ciò che leggo e da ciò che mi circonda, proponendo riflessioni e punti di partenza per confronti non per forza legati alla letteratura.
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